Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Giro giro tondo, ecco cambia il mondo!

Avere come priorità la descolarizzazione della società vuol dire tenere a cuore la questione della formazione culturale e morale delle generazioni a venire, ma anche concretizzare la promessa di una società autodeterminata e responsabile fatta di individui autonomi e liberi.
Descolarizzare, cioè smantellare la morale che è stata costruita intorno a quella 'falsa coscienza' fatta di abitudini borghesi che portano anche all'aggressività, è necessario per far riemergere la natura libera e cooperativa dell'Uomo, la sua morale più naturale, quella autentica, scevra da tutte le opportunistiche sovrastrutture.
E' dunque quella dell'abbattimento della morale imposta un obiettivo vitale se si vuole cambiare il mondo, il sistema globale che possiamo definire 'di autorità per l'autorità'. E oltre ai pedagogisti e agli anarchici, ben lo sapeva anche Giorgio Gaber che in questa canzone esprime il senso di quanto detto. Più che una canzone è un auspicio, un invito, un'urgenza.
Occorre aiutare i bambini a staccarsi dalla morale 'stanca e malata' di un mondo di adulti ormai troppo intossicati e troppo convinti del fatto che ciò che hanno imparato a loro volta sui banchi di scuola e nella vita sia corretto, 'esperenziale', giusto, buono, indispensabile, utile, ma che invece porta inevitabilmente -come vediamo- all'alienazione e alla sudditanza, all'incertezza e alla paura, al crimine e al desiderio inconscio di costruirsi varie autorità alle quali affidare il proprio destino e quello degli altri, per poi dire: 'è giusto che sia così, non ci si può fare nulla'. Invece si può fare molto, seguiamo le parole di Gaber (secondo me, la canzone anarchica più lungimirante al mondo). Buon ascolto.

Irene e Carolina e il controllo dello Stato sui cittadini

Parlare del controllo da parte dello Stato sull'individuo, in una classe seconda (12 anni), può risultare assai ardimentoso e velleitario. Abbiamo provato lo stesso. Siamo partiti dal concetto di globalizzazione (con le sue accezioni) e siamo giunti all'esercizio coercitivo di controllo dello Stato sull'individuo attuato per mezzo di vari sistemi (elettronici e non). La partecipazione dei ragazzi si è manifestata soprattutto nella loro attenzione, ma anche nella voglia di intervenire per integrare i concetti (Pietro ha parlato della paventata legge sugli animali domestici e sui microchip).
Quando ho capito che per loro il discorso si faceva abbastanza duro da seguire, siamo usciti dall'aula. In cortile ho invitato Irene e Carolina a scrivere in estrema sintesi quello che avevano capito. Questo è quello che hanno elaborato:
'Lo Stato ci controlla tramite cose elettroniche tipo i cellulari. Con la scusa che è per il nostro bene! Anche la carta d'identità è un metodo di controllo (anche se non tecnologico). Lo Stato ci controlla perché teme che il popolo si ribelli.
Ci illude dicendoci che gli elementi della globalizzazione sono tutti positivi... Mentre in realtà la maggior parte degli elementi sono negativi, è un esempio la multinazionale'.


Decidere la punizione

In una comunità anarchica ci sono regole e punizioni. Questo voglio dirlo subito per quanti ancora credono (ipotizzano) che anarchia sia sinonimo di licenza, caos e disorganizzazione.
Non essendoci fortunatamente autorità, in anarchia le regole non piovono mai dall'alto, non hanno carattere coercitivo, ma vengono pensate e discusse in ambito assembleare, come pure tutte le altre decisioni attinenti alla comunità. In questo modo si rafforza il senso di responsabilità e di autonomia di ognuno. Si decide seguendo un obiettivo preciso e mai prescindendo da esso, che è il seguente: migliorare le caratteristiche e le prerogative di quella specifica comunità secondo le sue necessità e capacità. E siccome la comunità è costituita da singoli, anche i bisogni del singolo vengono presi in considerazione da tutti e discussi insieme agli altri, se quel singolo ne fa richiesta. Il tornaconto che l'anarchia esige dalle sue stesse regole è l'accrescimento del benessere individuale e collettivo.
Riguardo alle punizioni, anche queste vengono pensate e discusse da tutti nel corso di un'assemblea (o più di una), non devono mai essere lesive della libertà dell'individuo, devono essere di utilità collettiva.
Oggi, assemblea per decidere una gamma di punizioni. questa decisione si è resa necessaria dopo la constatazione di alcuni atteggiamenti da parte di una persona che impediscono alla comunità di svolgere le attività con la dovuta serenità e attenzione (disegnare, leggere, plasmare, parlare, giocare, progettare, pensare...). I ragazzi hanno così sentito l'esigenza di intervenire con una punizione verso quella persona. I tempi di acquisizione di una coscienza anarchica variano da individuo a individuo, perciò è normalissimo vedere persone con qualche difficoltà rispetto agli altri nel cooperare per il benessere di tutti, soprattutto quando queste persone devono fare i conti con un indottrinamento all'autoritarismo più ferreo acquisito, o con problemi di varia natura, assorbiti soprattutto in famiglia, dove subordinazione e autorità si respirano in ogni cosa.
Prima dell'assemblea, i ragazzi e le ragazze (11 anni) hanno ricevuto da me soltanto una raccomandazione: scegliete punizioni che non privino la libertà personale, che non abbiano carattere aggressivo, che siano utili a tutti. L'assemblea ha deliberato la seguente lista, che poi è stata trascritta al computer e appesa in classe:

  1. Pulire e mettere in ordine banchi e sedie
  2. Togliere le scritte dai banchi e dalle sedie
  3. Spazzare per terra
  4. Pulire i cestini
  5. Aiutare la bidella nell'intervallo
  6. Pulire il cancellino
  7. Mettere tutto in ordine: cattedra, armadi e banchi

I ragazzi sceglieranno, di volta in volta, quale servizio far compiere, a seconda della gravità dei fatti.

Post correlato: i ragazzi decidono da soli cosa studiare

Ma è assurdo, prof!

Oggi i ragazzi e le ragazze della III A li ho visti particolramente ansiosi di dirmi qualcosa. E infatti...

Matteo e gli altri (13 anni): 'prof, lo sa che nel nostro libro di Storia si parla di Bakunin'?
Io: che strano, e... che cosa dice il libro? (conosco quel libro, ma ho voluto ascoltare la loro analisi).
Matteo: 'parla della Prima Internazionale, di Marx e di Bakunin'.
Io: quindi? Che dice?
Matteo (tra l'ironico e lo scocciato): 'sto libro del cavolo dice che Marx voleva l'ordine, mentre Bakunin voleva la violenza'.
Io: ve l'ho già detto: riguardo all'anarchia, o non se ne parla affatto, oppure se ne parla solo per denigrarla e dipingere come criminali i suoi esponenti.
Giulia: 'ma è assurdo, prof'!

Dall'autostima all'autogoverno, passando per l'autonomia

L'educazione libertaria concentra tutte le sue forze sulla centralità della persona. Questo vuol dire far emergere ciò che la persona è, in ogni sua parte, darle libera vita e fiducia. L'emersione della persona in quanto tale può avvenire soltanto attraverso l'autonomia: autonomia del pensiero, autonomia del fare e del disfare, autonomia della decisione, autonomia della creazione... Tutte queste libertà individuali (sottolineo individuali, ognuna con caratteristiche diverse) finiscono brutalmente là dove inizia un intervento esterno coercitivo, preconfezionato, soggettivo. Finita la libertà di decidere, di fare, di pensare, di creare... finisce anche l'autonomia, muore la persona, e inizia il bisogno di essere governati.
Un insegnante che impone dall'esterno un percorso didattico uguale per tutti, non soltanto massifica e livella la coscienza dei componenti della classe, ma ordina la propria linea (quella dello Stato), soggettiva, coercitiva, estranea alle diverse individualità e ai singoli bisogni. Subentrano nel bambino altre paure, come quella da prestazione: se lo studente non si allinea al programma imposto, se non raggiunge gli obiettivi, se non ottiene buoni voti, un grande senso di frustrazione lo pervade, e con questa frustrazione rimarrà per tutta la vita; più lo studente si allinea e si livella (si annulla), più attenzioni e premi riceve, più si amplifica il suo senso di prevaricazione e di dominio, e gode tutte le volte che riesce a vincere sugli altri. Aberrante. Lo Stato forma i suoi sudditi-guerrieri a propria immagine.
Anche l'autostima e l'autocontrollo sono intimamente legati all'autonomia, ne sono la logica conseguenza. Un bambino autonomo e libero (libero anche dalle punizioni e dai premi) affronterà i problemi della vita senza angosce e timori, senza frustrazioni, saprà misurarsi con le proprie capacità, non avrà bisogno di autorità esterne, semmai è portato a ricercare persone altrettanto libere ed autonome, o a invitarle ad esserlo.
L'educazione libertaria evita perciò l'elemento esterno, si concentra su quello interno, cioè sulla persona stessa, sulla personalità, sull'individualità. Gli espressionisti -per fare un breve parallelo artistico- rifiutavano il metodo impressionista proprio perché quest'ultimo si fonda su un moto visivo che va dall'esterno verso l'interno, mentre l'Espressionismo muove dall'interiorità del singolo artista e si getta sulla tela con tutta la libertà possibile (nelle forme e nel colore). Gli espressionisti francesi vennero definiti dai giornalisti benpensanti 'le belve' (fauves), Matisse e gli altri apprezzarono molto.

Due scuole libertarie 'Hadera' in Israele, e 'Kiskanu' in Italia

Gli argomenti li decidono i ragazzi e le ragazze (11 anni)

Oggi la sovversione di ben quattro leggi scolastiche ha dato ottimi frutti, gli studenti hanno potuto decidere in maniera autonoma e libera gli argomenti di Storia dell'Arte per quest'anno.

Prima regola violata:
Ho invitato in classe un bambino e una bambina di un'altra classe, che sono stati accolti in modo naturale e direi anche ovvio (tenuto conto del fatto che in questa classe gli studenti sono già maturi rispetto al discorso comunitario e libertario). La regola secondo cui le persone devono essere divise per età o per aule non ha alcun fondamento scientifico-pedagogico, anzi, tale divisione è dannosa per la crescita dell'individuo, per la condivisione delle idee, degli spazi, degli strumenti, delle abilità, delle fisicità, dannosa anche per lo sviluppo della coscienza collaborativa, e per la maturazione del concetto di accoglienza.

Seconda regola violata:
Non mi sono seduto in cattedra (abolizione del 'luogo deputato' all'autorità), non ho voluto portare il registro, né fare l'appello (inutile l'ultima ora), né annotare le assenze (non ci sono studenti che rischiano l'anno per le troppe assenze), né firmare il giornale di classe (hanno visto tutti che ero a scuola). Secondo il modello scolastico tradizionale che infonde paure e angosce, la sovversione di queste regole può apparire certamente ardita e persino pericolosa, ma ho voluto dimostrare ai ragazzi che ai fini della formazione di una persona responsabile e autonoma la burocrazia è un grave limite, è una schiavitù, perché abitua gli individui a consegnarsi anzitutto nelle mani di un'autorità-controllore (Stato-Chiesa). Chi ha già questa abitudine non avrà retto il colpo, si sarà scandalizzato o indignato, e avrà pensato: 'ma come si fa senza registro, senza firmare, e senza annotare le assenze? E' una cosa grave'. Se lo avete pensato, allora siete tra quelli che hanno bisogno di essere sempre controllati e governati, non siete persone completamente autonome, libere e responsabili (anche se credete di esserlo). La burocrazia è piuttosto utile quando si devono tenere sotto controllo le bestie in allevamento.

Terza regola violata:
Assemblea generale. Chi ha scelto di sedersi per terra, chi sul banco, chi è rimasto seduto al posto (la cara Silvia che stava male). Va da sè, ormai, che chi ha voluto andare in bagno per fare pipì, ci è andato senza chiedere permesso, in assoluta responsabilità e correttezza.

Quarta regola violata:
Si discute sul programma di Storia dell'Arte. Dico ai ragazzi di scegliere da soli gli argomenti, che io mi sarei limitato a soddisfare le loro curiosità e la loro voglia di imparare. Il libro viene sfogliato davanti a tutti, quando l'argomento è stato oggetto del loro interesse, la 'piccola' Maddalena ha annotato il capitolo su un foglio di carta. Non si vota, ma si discute, si chiariscono dubbi, ci si accorda, questo è il metodo anarchico. In questo caso, poiché ci sono stati due ragazzi che non hanno voluto che si parlasse di un capitolo, e poiché non si è giunti a un accordo, abbiamo deciso tutti insieme che quei due ragazzi, al posto di quel capitolo, sceglieranno da soli l'argomento che vorranno. Raggiunto l'accordo finale, ho invitato i ragazzi a dare una priorità ai capitoli. Assemblea sciolta. Nell'immagine che segue c'è la nota di Maddalena, che verrà ricopiata secondo l'ordine dato ai capitoli (vedi numeri in nero) e poi appesa in classe.

Nell'ordine stabilito secondo il comune accordo:
1) Pop Art
2) Il cinema delle Avanguardie
3) Vincent Van Gogh
4) Giotto da Bondone
5) L'Impressionismo
6) La pittura cretese
7) La pittura veneziana
8) Le sculture di età ellenistica
(solo quelle relative alla rappresentazione della gente comune).

La classe preferisce il gatto nero dell'anarchia

Impazzano in classe i gatti neri anarchici, oggi me ne hanno regalati ancora due (vedi disegni a fine post), se continua così inaugurerò presto una 'sezione felinA' in questo blog*.
Perché questi disegni sono importanti? Primo perché sono spontanei (non imposti), secondo perché sono l'espressione della voglia di comunicare che quell'argomento piace, fa parte dello studente, e lo vuol dimostrare con orgoglio. Non càpita la stessa cosa quando si tratta di argomenti ritenuti noiosi o inutili, ad esempio non ho mai visto disegnare spontaneamente un Cavour o un Leopardi e poi mostrarlo con orgoglio.
Il gatto nero anarchico è diventato l'eroe di questa classe terza (13 anni), altro che Garibaldi! Ci sarebbe da chiedersi il motivo di tanto interesse nei confronti dell'anarchia da parte dei ragazzini, la spiegazione è relativamente semplice: l'Uomo nasce anarchico e con il tempo assimila dallo Stato e dalla Chiesa quelle sovrastrutture artificiali (regole, norme, leggi, comandamenti) che occultano, sostituiscono e annientano l'originale sistema di leggi naturali. I bambini sono molto più vicini all'anarchia rispetto all'adulto, hanno un'età che permette loro di riconoscersi nell'anarchia, in quanto persone ancora libere. Più si è giovani, più si è vicini all'anarchia, più si percepisce la libertà e la si ama (e allo stesso tempo si capiscono le prigioni imposte dalle leggi dello Stato e della Chiesa). Ben lo sapeva il poeta anarchico Giovanni Pascoli. Con l'anarchia ci si ama, e si amano anche la vita, la Natura e gli altri.

Il primo gatto nero di Sabrina


Non li trovate anche voi meravigliosi?

Eccone un altro.

* realizzata la zonA felinA, vedere scheda.

Imparare dalla Natura il rispetto delle diversità individuali

Oggi lezione all'aperto, approfittando del sole. L'attività è stata l'osservazione del contesto naturale (c'è molto verde intorno alla scuola) con le varietà di piante e fiori. La lezione ha avuto due fasi, la prima relativa all'apprendimento visivo dei particolari naturali, la seconda fase si è basata sulla trasposizione del dato osservato nella spiegazione del concetto delle diversità che vivono in armonia nell'unità naturale.
Nella prima fase ci siamo avvalsi della collaborazione della bidella che, per via della sua esperienza in un vivaio, ha spiegato le varietà delle piante con i loro nomi, le tipologie, le esigenze, le caratteristiche, ecc. I ragazzi hanno preso appunti e alcuni di loro, in modo assolutamente autonomo e spontaneo, si sono divertiti anche a disegnare le piante e i fiori dal vero. Ottimo. Nella seconda fase ho potuto spiegare le analogie tra le varietà delle piante e gli esseri umani. Ogni individuo è diverso, ognuno ha le proprie esigenze e propri ritmi, e questa unicità, questa diversità, deve essere rispettata se non vogliamo rovinare l'armonia e l'ordine naturale. Così ho spiegato che anche loro, i ragazzi e le ragazze della classe, nella loro diversità rappresentano una ricchezza naturale, hanno ritmi ed esigenze diverse che non devono essere soffocate da nessuno, né standardizzate, contabilizzate, normate, programmate dall'esterno. L'armonia si raggiunge soltanto quando ogni essere vivente viene rispettato per ciò che è, per ciò che vuole, per ciò che dà. Se in un dato anno, una certa pianta fa pochi frutti, vuol dire che è così che deve andare, e nessuno potrà punire la pianta per questo.
I ragazzi e le ragazze (11 anni) hanno imparato che:
  • si può imparare da tutte le persone, a prescindere dal loro mestiere apparente (la bidella al posto del professore), perché ogni persona ha varie conoscenze, varie esperienze, varie metodologie operative, varie soluzioni per lo stesso problema. Lo scambio di informazioni tra individui diversi produce sempre ricchezza e progresso umano.
  • il contesto mondiale, con le sue società, è fatto di individui unici, diversi, egualmente preziosi e utili.
  • la diversità è armonia.
  • intervenire dall'esterno per modificare l'ordine naturale, produce sofferenza, disarmonia, appiattimento culturale, mortificazione delle singole qualità, privazione degli slanci geniali e della meraviglia.

'Questo ragazzo è poco scolarizzato'

Di fronte a uno studente dal carattere esuberante, quante volte ho sentito dire dai miei colleghi 'questo ragazzo è poco scolarizzato'. Cosa intendono comunemente i docenti per 'scolarizzazione'? Stare bravi, tranquilli, inquadrati, imbancati, rispettare le regole, chiedere il permesso per ogni cosa, temere le note e i cattivi voti, non contestare il professore, rimanere sempre attento e pronto, non trascurare i compiti assegnati, fidarsi ciecamente dell'insegnante di turno, non criticare i contenuti e i programmi, non prendere iniziative in maniera autonoma e spontanea, adeguarsi al gioco della competizione, eccetera. C'è da stare ancora sereni di fronte alla scolarizzazione? Per la stragrande maggioranza dei miei colleghi sì, tutto ciò è giusto, doveroso. Mi sembra ovvio che un insegnante (cieco) voglia per i propri studenti le stesse cose di cui la sua coscienza si è impregnata.
Di fronte alla non-scolarizzazione di uno studente, il docente medio è un professionista della punizione che non si accorge neppure che quello studente gli sta dicendo molte cose, in primo luogo che quel tipo di scuola fa male, che forse è il caso di riflettere sul concetto di educazione, formazione, pedagogia. Ho fatto una breve indagine tra i miei colleghi, ho chiesto loro cosa sapessero di pedagogia. Niente, o quasi. Non voglio dire che lo studio della pedagogia risolva miracolosamente e istantaneamente i problemi della scuola e dell'apprendimento, ma quantomeno aiuterebbe i meno attenti al proprio mestiere di educatore a capire il significato delle parole. E tuttavia, anche senza far ricorso alla pedagogia libertaria, i miei colleghi dovrebbero almeno sfruttare la loro intelligenza per capire che scolarizzazione vuol dire standardizzare, appiattire, normalizzare, controllare, mettere in competizione, allenare alla sudditanza, privare la libertà (con tutti i disastri che la privazione della libertà comporta, paure e bullismo in primis).
Il pedagogista Ivan Illich (ma non solo lui) è stato chiarissimo nell'analizzare la scuola quale luogo che ha come fine ultimo quello di produrre sudditi consumatori, individuando nella scuola un 'programma occulto' che è uguale in tutto il mondo!
'Il sistema scolastico ha dappertutto la stessa struttura e dappertutto il suo programma occulto produce gli stessi effetti [...] le scuole sono sostanzialmente simili in tutti i paesi, siano essi fascisti, democratici o socialisti, ricchi o poveri, grandi o piccoli. L’identità dei sistemi scolastici ci costringe a riconoscere la profonda identità, su scala mondiale, del mito, dei modi di produzione e dei metodi per il controllo della società, nonostante la grande varietà di mitologie nelle quali il mito si esprime'.
Così tremo tutte le volte che sento dire 'bisogna scolarizzare questo ragazzo'. Povero cristo, così piccolo e già così controllato e condannato.
Invito i colleghi a porre dubbi cartesiani sul loro lavoro e anche sul lessico adoperato, ormai troppo incancrenito e stantìo, a tal punto che non si bada più neanche al significato delle parole. A proposito, riguardo al POF (Piano dell'Offerta Formativa), i miei colleghi dovrebbero facilmente capire che tale acronimo è più coerente e veritiero se alla vocale 'O' si fa corrispondere la parola 'Obbligo' (Piano dell'Obbligo Formativo), perché tale è, se davvero vogliamo metterci dalla parte di chi è costretto a stare per cinque ore al giorno in un banco, tutti i giorni, per anni e anni. E ci si deve sorprendere se poi un ragazzo si dimostra 'esuberante'?

P.S. Prestate attenzione anche alla formula strausata (ma sempre disattesa) 'la centralità dello studente'.

Approfondimento:
'Descolarizzare la società' di Ivan Illich (scaricabile).

Giulietta e il catechismo dalle suore

In che modo una formazione libertaria si manifesta nella pratica quotidiana? Quale potenziale critico ed effettivo ha? Noi viviamo tutti in una società antilibertaria, dove dottrine artificiali (Stato - Chiesa) sono state incollate alle coscienze, e in cui per forza di cose l'anarchia viene a scontrarsi con certi postulati. Come risponderebbe un ragazzino educato al 'pensier libero' a questi postulati o alle domande a cui è sottoposto quotidianamente durante le lezioni al catechismo cattolico? E' in grado di sostenere un dibattito con un adulto indottrinato che ha come unico scopo quello di indottrinare gli altri? Vediamo cosa è successo a Giulietta, un giorno, durante una lezione di catechismo.
Una suora ha fatto scrivere sui quadernetti una domanda alla quale tutti i bambini dovevano rispondere (per forza). La domanda era questa: 'cos'è per te la schiavitù'? Risposta di Giulietta: 'lo Stato'. Quando la suora lesse questa risposta andò su tutte le furie, sgridò Giulietta e si fece spiegare il motivo di quella risposta. La cosa interessante non è stata il vedere che Giulietta non abbia avuto la benché minima paura del rimprovero, quanto invece la sua rigorosa posizione nell'elencare i motivi inconfutabili per cui lo Stato sia in verità una forma di schiavitù.
Tuttavia, non è neppure questa la vera questione. C'è ben altro di cui sorprendersi positivamente. Le motivazioni che Giulietta ha elencato alla suora non sono mai state oggetto diretto delle mie lezioni. Non ho mai pronunciato (o scritto) un elenco di motivi che definiscono lo Stato una prigione. Non ho mai detto 'imparate questa lista a memoria' (come fa la Chiesa con i comandamenti). Cos'è successo? Attraverso la formazione libertaria, il bambino elabora da sé gli argomenti che ritiene possano essere oggetto di analisi, costruisce una propria coscienza critica, comprende da solo gli snodi delle questioni vitali e sa affrontarli, distinguendo autonomamente il bene dal male. Evito di raccontarvi il modo in cui Giulietta, poi, abbia anche stigmatizzato le risposte ipocrite della suora, sbugiardandole una ad una, voglio soltanto concludere dicendo che quando si parla della forza della libertà si intende anche questa forza autonoma del pensiero critico.

P.s. Al di là delle argomentazioni e delle posizioni di ognuno rispetto ai dettami della Chiesa e/o dell'Anarchia, l'esposizione critica di Giulietta merita di essere altamente considerata per la maturità dei contenuti, per la conduzione logica del pensiero, e per la capacità di analisi. Giulietta ha 11 anni.

La preziosa attività del non far nulla in classe

Dò una grandissima importanza al non far nulla in classe, che in verità vuol dire tutt'altro che non fare nulla. L'attività libera dello studente, quindi il non studiare le materie imposte, fa emergere completamente la sua personalità, i suoi desideri, il suo carattere, le sue ambizioni o le inclinazioni. Soltanto attraverso l'osservazione di questo 'non far nulla' si può capire l'esigenza dell'individuo e le attitudini da tirar fuori (educare).
Superfluo ricordare che, per i bambini soprattutto, l'attività ludica è essenziale per la crescita psicofisica. Il gioco, che comprende spesso (non sempre) anche lo stare con gli altri, deve procedere senza alcuna imposizione da parte mia, i ragazzi devono essere liberi di farsi le loro regole, di decidere i loro tempi, di comune accordo. A me spetta l'osservazione e la comprensione. Unico grave limite a questa attività è l'involucro della scuola tradizionale, con la sua scansione precisa del tempo, la costrizione in aula, la valutazione sperequativa obbligata, ecc.
Assolutamente inutili, se non dannosi, sono gli esercizi che ho visto fare agli psicologi assunti dalle scuole con il compito preciso e del tutto velleitario di far socializzare gli studenti, al fine di formare un 'buon gruppo classe'. Questi esercizi, dai quali in passato mi son ben guardato dal partecipare, sono tutti normati, regolati, obbligati dallo psicologo, il quale viene percepito dagli studenti come un'altra autorità: i ragazzi vengono presi e forzati a fare ciò che, liberamente e autonomamente, non avrebbero mai fatto (stare seduti in cerchio ad ascoltare il compagno di turno costretto a fare un outing imbarazzante, formare coppie visibilmente infastidite, fermare il ritmo a comando, eccetera). Inscatolare le coscienze, omologare il gruppo classe, assoggettare i fanciulli a un'autorità, a questo servono gli esercizi degli psicologi. Invece ogni classe ha le sue dinamiche interne che variano a seconda dei periodi, ed è naturale che sia così, molti ci vedono caos, io ci vedo logica naturale e mutevole. Forzare queste dinamiche, rinchiuderle dentro schemi e regole, appiattirle, è un crimine.
Così durante il nostro 'non far nulla' vedo gruppi che si formano spontaneamente, per empatia o per interessi comuni, ma vedo anche singole persone a cui piace stare in disparte a disegnare, o a pensare, o a giocare con quello che hanno nello zaino per costruire macchine fantastiche. C'è chi, costretto dalla paura, fa i compiti o ripassa per l'interrogazione dell'ora dopo, e lo vedo ogni volta che sbava dalla voglia di andare a giocare con gli altri, ma non può e soffre, con la coda dell'occhio osserva i compagni divertirsi, ma lui deve trattenersi, deve soffocare la sua voglia di libertà. Terribile.
In queste dinamiche spontanee e naturali, posso osservare le attitudini di ognuno e cercare di lavorare per esaltarle. Succede a volte di essere chiamato in causa per risolvere qualche loro screzio. In questi casi ricordo loro che la soluzione dei problemi devono trovarla da soli, senza ricorrere ad aiuti esterni di marca autoritaria. Ci riescono sempre. Là dove sarebbe necessaria una votazione per una decisione, intervengo per illustrare il metodo della sintesi (bandita la maggioranza democratica), dove si raggiunge un accordo all'unanimità, e anche in questo caso ci riescono sempre. Nei gruppi spontanei di gioco, vedo ad esempio il tipo più intellettuale che ragiona sul sistema del gioco stesso, ma vedo anche il tipo più creativo che trova nuove forme al gioco, c'è anche l'esteta col suo apporto di originalità, il riflessivo introverso che partecipa solo fisicamente, il contestatore che contesta solo apparentemente perché vuole mettersi in mostra, l'innamorato che non vede altri all'infuori del suo amore e gli dà sempre ragione, la tipa solare che ammanta il gruppo di simpatia e contribuisce con fiocchi di carta e cuoricini, eccetera.
Ma una delle cose più importanti che avviene durante il 'non far nulla partecipato' è sempre la totale assenza di senso di vergogna e di paura, gli equilibri si fanno e si disfano in continuazione proprio perché la coscienza vuole evitare fastidi e ottenere il massimo della soddisfazione e della libertà. Poi, ahinoi, suona la campanella, tutti nel banco, zitti e ordinati, pronti a obbedire, ritornano paure, ingiustizie, angosce e frustrazioni. Coraggio ragazzi, ci rivedremo presto.

Non abbiate paura del nero

Mentre osservo i ragazzi disegnare con le matite colorate, ogni tanto mi accorgo che alcuni di loro non amano calcare il 'colore' nero, mentre tutti gli altri colori vengono usati con una giusta pressione sul foglio. Siamo di fronte a quel senso di paura nei confronti del non conosciuto.
Culturalmente, ma anche percettivamente, il nero per noi rappresenta la non luce, il non visto, il non conosciuto. E ogni cosa non conosciuta fa paura. E' umano, certo, ma è bene che si impari a oltrepassare la soglia della paura per saperla affrontare. Si scoprirà dopo che, nella maggior parte dei casi, ciò che non conosciamo non è malvagio, tutt'altro.
Quindi suggerisco sempre ai ragazzi di non aver paura del nero, di affrontarlo con serenità, di usarlo come fanno con gli altri colori. Questo esercizio serve a saper controllare meglio i sentimenti di paura che le autorità innestano negli individui, amplificandoli e mantenendoli, al fine di imprigionare gli individui in vari tipi di bisogni (artificiali e utili solo alle autorità), come ad esempio il bisogno di salvazione costruito dalla Chiesa (contro il falso pericolo dell'inferno) e il bisogno di protezione propagandato dallo Stato (contro i mille falsi pericoli costruiti ad hoc).
Non è un caso che i bambini molto piccoli usino il nero come gli altri colori, la loro coscienza non è ancora inquinata da paure artificiali e da falsi bisogni di protezione e di salvazione; si comincia ad aver paura sui banchi di scuola, poiché la scuola tradizionale è il luogo delle paure per eccellenza, dove ogni individuo perde anche la fiducia in se stesso. Dice Marcello Bernardi:
'A scuola il bambino si adatta all'idea che la paura sia uno stato d'animo normale e che l'intera vita debba essere vissuta nel timore della disapprovazione, del castigo, dell'esclusione'.
Suggerisco ai colleghi e alle colleghe di osservare bene il rapporto di saturazione tra i colori dei disegni dei loro studenti, senza però intervenire direttamente sul foglio, dovranno essere i ragazzi ad 'aggiustare' il loro nero slavato. Semmai è opportuno farli ragionare su quanto detto fin qui.

Sabrina e il gatto nero dell'anarchia

Sabrina fa la terza media, è una tipa riflessiva, non è molto epansiva. Il programma di terza media prevede l'età contemporanea, Ottocento e Novecento, e va da sé che non si può escludere il pensiero anarchico che ha segnato fortemente la cultura dei due secoli. Un giorno ho anche parlato del mio essere anarchico, penso glielo dovessi, ho preso anche la chitarra e cantato loro 'dimmi bel giovane' spiegando poi il significato legato alla Comune di Parigi, poi ho illustrato anche la simbologia dell'anarchia, dove, tra gli altri simboli, si trova il gatto nero. Sabrina, alla fine dell'ora, mi ha regalato un disegno, quel bel gatto nero che vedete nell'immagine. Non glielo avevo imposto, la sua è stata una scelta autonoma, un esempio di 'mimesis' spontanea che denuncia il suo 'sentirsi quella cosa' (vedi anche l'esempio di Luigi). Mi preme fare la seguente riflessione.
Lo studio dell'anarchia e dei suoi padri mi ha spalancato due porte, una consequenziale all'altra. La prima, mi ha portato a scoprire tutt'un mondo parallelo di conoscenza, di cultura, un mondo di intellettuali tenuti espressamente nascosti dal sistema educativo nazionale, seppur di riconosciuto spessore*; la seconda porta, per conseguenza, mi ha condotto in modo del tutto naturale nella conoscenza delle bugie profuse dal sistema. Viviamo di fatto in una bugia costante.
Questa conoscenza mi aiuta moltissimo nel mio lavoro con i ragazzini, ed è sorprendente come essi rispondano con un feedback attivo e spontaneo ai concetti di libertà, come se conoscano da sempre la verità, quindi anche la bugia imposta dallo Stato. Lo dicono i fatti. Quando ai ragazzini spiego le necessità umane di libertà, di fratellanza di giustizia, applicando veramente tali concetti, mostrando loro -con la mia persona- il come si fa (un esempio), essi sono come rapiti, sono felici, come se avessero trovato finalmente la serratura giusta per la loro chiave. Ciò spiega il loro entusiasmo nel replicare le cose apprese senza che io lo imponga in un tradizionale compito in classe.
Ogni loro disegno, spontaneo, -come quello nell'immagine- è una prova del fatto che hanno davvero imparato (e non studiato pedissequamente). Essi vivono le lezioni, non le subiscono, e riproducono per 'mimesis' quello che hanno imparato, o meglio, quello che conoscevano già, che portano già dentro. Sapeste quanto sono felici nel prodursi in queste espressioni che valgono più di mille noiose verifiche! Brava Sabrina!

* Solo un esempio tra mille:
Noam Chomsky, linguista, professore emerito al Massachusetts Institute of Technology, anarchico, definito dal New York Times 'il più importante intellettuale vivente'. Da The Nation: 'una fonte inesauribile di sapere'.

Luigi (11 anni) e il suo disegno sulla libertà.

Quando un bambino impara qualcosa che lo appassiona veramente, il modo di dimostrare il suo entusiasmo è quello di ri-produrre la cosa che ha imparato. Questo processo di 'mimesis' fa bene al bambino, è un suo modo per dire 'mi piace questa cosa, io sono questa cosa, fa ormai parte di me e voglio dimostrare quanto mi piace'. I 'miei' bambini continuano a regalarmi disegni, mi fanno mille gradite sorprese, e sono tutte azioni di mimesi di quello che sto insegnando loro. Ecco il disegno di Luigi (11 anni) che ha realizzato in classe, liberamente, a mia insaputa.

Potrebbe essere l'assunto di un giovanissimo Bakunin (per Bakunin la vera libertà esiste solo quando tutti sono liberi). Il valore del disegno non è tanto l'elaborato in sé e la didascalia a margine, ma il fatto che la realizzazione è stata spontanea, libera, non imposta. Luigi sta dicendo 'mi riconosco veramente in questa cosa'.
Rimane perciò la questione di base, cioè su cosa sia meglio insegnare ai bambini per costruire un futuro migliore. Se ai bambini viene insegnato il rispetto e l'obbedienza verso le autorità (cosa che avviene in tutte le scuole), allora la società è destinata a perpetuarsi nei suoi modelli sperequativi, gerarchici e profondamente autoritari. Se invece ai bambini viene insegnato il rispetto reciproco, l'uguaglianza, la libertà, la cooperazione, l'umanità, allora avremo una società più giusta. Ma questi valori così alti non possono essere solo predicati, bisogna attuarli veramente, e che siano anzitutto la scuola e gli insegnanti a farlo. Insegnare vuol dire dimostrare praticamente. Inutile predicare che abbiamo tutti gli stessi diritti quando proprio la scuola è una fucina di ingiustizie e disuguaglianze. La discrepanza tra il dire e il fare viene subito intercettata dai bambini, i quali non capiscono per quale motivo - ad esempio - i professori dicono che siamo tutti uguali quando i loro voti, i premi, le punizioni e la divisione in classi... stanno lì a dimostrare esattamente il contrario. Non capiscono per quale motivo i professori parlano di libertà mentre bisogna chiedere il permesso per fare tutto, persino per bere, e si è costretti a studiare quelle precise cose in quelle precise ore (imposte da altri). Non capiscono per quale motivo i professori spiegano la solidarietà mentre sono loro i primi a farsi la guerra (i bambini vedono tutto) e mettono in competizione costante i ragazzi, costruiscono gerarchie e capiclasse.
Non è così che funziona. Il metodo fascista perdura nella scuola e, semmai, quel tipo di scuola tradizionale (pubblica o privata) è funzionale solo allo Stato quale sistema di controllo coercitivo, profondamente ingiusto e violento nei confronti di una società che, come questi bambini, vorrebbe solo essere libera e fraterna con tutti.

P.S.
Luigi è il bambino che aveva dato questa risposta alla sua compagna di banco.

S.C.U.O.L.A.

L'altro giorno sono entrato in classe e mi sono accorto che i ragazzi mi avevano fatto una bella sorpresa. Avevano riempito la lavagna con scritte e disegni di tutti i tipi. Ogni frase esprimeva in estrema sintesi uno dei concetti di libertà spiegati nelle lezioni precedenti. Così si potevano leggere frasi che suonavano come slogan: 'viva la libertà', 'la scuola è una prigione', 'vogliamo vivere in una società di uguali', 'viva gilania', ecc. C'era anche l'acronimo S.C.U.O.L.A. secondo la loro interpretazione. Ed è stata questa la vera sorpresa per me.
Peccato non aver avuto una macchina fotografica per immortalare quelle espressioni (verbali e non) di entusiasmo. Ho chiesto ad un alunno di scrivere per me su un pezzo di carta quell'acronimo. L'immagine accanto è la scannerizzazione del biglietto. Lo trovo geniale per dei ragazzini di 11 anni.

Collettivismo artistico

Oggi abbiamo iniziato subito con un'assemblea chiesta a gran voce dai ragazzi. Non avevano un tema su cui discutere, non avevano un vero motivo per fare assembela, ma si vede che l'esperienza della prima assemblea fatta qualche giorno fa era piaciuta e oggi l'hanno voluta riproporre. Questo fatto è un buon indice di maturità da parte loro. Ricordo a tutti i lettori, ai miei colleghi, che questi ragazzi (di questa classe) hanno in media 11 anni. Così ci siamo avvicinati, creando complicità, ci siamo seduti sui banchi, ed io ho potuto informarli dell'attività che avremmo svolto da lì a poco. Ci siamo organizzati bene, ho detto loro che avevo portato da casa un foglio gigante sul quale fare tutti insieme un disegno.
Il valore del disegno collettivo è molto alto, se svolto in serenità, poiché la libertà espressiva di ognuno viene condivisa con quella degli altri senza percepire sensi di fastidio. E' un'intimità compartecipata, ognuno secondo le sue proprie preferenze e disponibilità, per un obiettivo comune. Questa compartecipazione di sentimenti diversi, operanti su un unico obiettivo non imposto, ha in sé una carica molto forte, poiché viene amplificato il senso di comunione non solo dei beni, ma anche delle coscienze e degli intenti, base necessaria per sentirsi -in futuro- davvero un popolo unito e solidale.
Ho detto loro che esistono tre possibilità di scelta: paesaggio, natura morta, ritratto. Hanno scelto il paesaggio, decidendo poi da soli come farlo, quali elementi inserire, come colorarli, ecc. Siamo usciti dall'aula in maniera decisa, ma silenziosi perché nelle altre classi stavano studiando (questa è responsabilità, nella libertà). Ho steso il foglio sul pavimento del corridoio, poi i ragazzi hanno appoggiato sul foglio la loro art-box comune, i loro strumenti condivisi. Hanno esitato, nessuno aveva il coraggio di tuffarsi, di fare il primo segno (un foglio bianco e per giunta grande può causare perplessità). Li ho osservati un po', e vedendo che continuavano ad esitare ho deciso di intervenire. Ho disegnato soltanto il profilo di qualche montagna e subito i ragazzi hanno iniziato l'opera. Dobbiamo ancora finirla, un'ora non basta, ma già un meraviglioso sole comincia a scaldare i cuori, insieme a qualche altro elemento.


Ma cos'è successo quando dal corridoio son passati gli studenti di altre classi per andare in bagno? Vediamolo.
Non ho perso certo l'occasione per dimostrare ai ragazzi quanto 'gli altri' siano incatenati, considerando la loro prigionia una normalità. Perciò, il primo ragazzo che è passato (aria incuriosita e stupita nel vederci così, per terra, uniti a cooperare per un megadisegno) l'ho chiamato e gli ho chiesto se volesse darci una mano per fare gli alberi. Per tutta risposta, il 'prigioniero inconsapevole' ha detto: 'non posso, devo fare matematica, devo andare in bagno e poi tornare subito in classe, sennò la prof si arrabbia'. A quel punto, mentre 'i miei ragazzi' avevano già capito tutto e sghignazzavano di nascosto, ho chiesto al ragazzo: scusami tanto, ma a te piacerebbe adesso fare il disegno con noi? 'Sì, ma non posso', ha risposto. Non potevo non coinvolgerlo comunque, sarebbe stato questione di un minuto, gli ho detto: senti, per favore, ci serve anche il TUO albero, disegnalo anche velocemente, come ti viene. Il ragazzo si è fiondato a terra con una matita e ha disegnato il suo albero, che ora però serve a tutti. Quest'azione di coinvolgimento mi servirà in futuro per spiegare ai ragazzi cosa voglia dire non aver paura dello straniero, cosa voglia dire davvero intercultura, accoglienza, fratellanza, solidarietà attiva.
Chissà perché, ma dopo la comparsa in scena di quel ragazzo, dalla sua classe sono usciti altri ragazzi, uno ad uno, per andare in bagno, ma con quell'aria un po' sorridente di chi aveva già saputo. Ma questa volta non sono stato io a coinvolgere 'gli stranieri', bensì spontaneamente 'i miei' ragazzi, ed ogni volta abbiamo riscontrato prigioni, catene, timori.
Adesso siamo curiosi di vedere in che modo la notizia di questo esercizio di libertà (esteso ai 'prigionieri stranieri') si sia diffusa in tutto l'istituto.

Caterina e i suoi di-segni di libertà.

Anche in questa classe, oggi, abbiamo realizzato l'A-carta d'identità che ha avuto un bel successo.
P
oi succede che alla fine dell'ora, inaspettatamente, Caterina (11 anni) mi fa dono di questi suoi elaborati.








Il disegno qui in basso che raffigura la classe con l'insegnante che ordina ai ragazzi di stare zitti (e questi ultimi che obbediscono dicendo 'sì prof'), come vedete, è barrato. Campeggia anche un bel NO in cima, sopra la lavagna.



Certo, l'ingenuità è evidente, in molti casi il silenzio è necessario, vitale, umano, e devo proprio dire che nelle ore in cui io sto con questi ragazzi il silenzio nella classe non manca, solo che non è ordinato, obbligato, essi avvertono spontaneamente la necessità di stare sereni (anarchia non è caos, ma ordine-altro, umano). Ma con questo disegno Caterina ha voluto esprimere il suo NO ad un comando autoritario, quello che per lei è l'ordine che forse sente ripetere più spesso dai miei colleghi (state zitti!). E in questa ingenuità c'è già una forte presa di coscienza, tanto che mi ha pure ringraziato a nome di tutta la classe. Ma grazie a tutti voi. E complimenti anche per i disegni, Caterina.

La scatola dei colori

Altro esercizio di libertà, di cooperazione, di comunione dei beni, cioè di anarchia applicata.
Abbiamo realizzato questa scatola piena di matite colorate. Servirà a tutti. Non esisterà più lo studente che, con aria triste e impaurita, dice: 'prof, ho dimenticato i colori a casa'. Ma al di là del lato strettamente pratico, avrete capito che il significato della scatola è molto più importante. Ognuno è intervenuto con il proprio materiale, per il bene di tutti. Chi ha dato una matita, chi ne ha date dieci, non importa. Adesso tutti hanno tutte le matite. Non esiste più il concetto di 'mio' e di 'tuo', ma c'è il valore applicato del 'nostro'. Questo principio non ha tolto nulla a nessuno, ha dato tanto a tutti.

'La proprietà è un furto'. I bambini lo hanno capito.

La risposta di Luigi ( 11 anni) alla sua compagna di banco

Oggi in classe è successo qualcosa che merita di essere registrata. Devo necessariamente dire che le poche lezioni svolte fino ad oggi nella classe in oggetto stanno già dando buoni frutti. Giorgia, 11 anni (prima media), stava ascoltando un mio ragionamento sul concetto di democrazia: cosa vuol dire letteralmente democrazia, quando è nata, perché la democrazia diretta non si è mai realizzata, ecc. E' straordinario notare, per inciso, come i bambini capiscano al volo il concetto di 'dittatura della maggioranza' che impone le sue decisioni su una minoranza.
Giorgia, a un certo punto, mi ha domandato qualcosa, ma io non sono riuscito a sentirla molto bene, capita ogni tanto. Ma chi ha sentito bene è stato il suo compagno di banco, Luigi (11 anni), il quale si è premurato di risponderle per me. Le parole di Luigi sono state:
'te la spacciano per scelta, ma veramente ti fanno scegliere solo un padrone che ti comanda'.
Non occorre aggiungere altro.

(L'immagine non si riferisce alle persone citate nell'articolo).

Scoprire per la prima volta la libertà.

Durissimo colpo, oggi, per gli alunni di una classe prima media. Un colpo tanto duro quanto benefico. Esperienza straordinaria nel vero senso della parola.
Oggi, primo giorno di scuola, la classe proveniente dal ciclo elementare non soltanto ha dovuto superare lo shock del cambio di Istituto e di insegnanti, ma anche quello relativo allo stravolgimento totale della loro (già distorta) concezione di libertà.
Ultima ora, suona la campanella, entro in classe ma non vado alla cattedra, mi siedo per terra appoggiato alla parete opposta alla cattedra, il più lontano possibile da quest'ultima, in grembo ho il nuovo registro personale. Attimi di sconvolgimento emotivo, uno stupore indicibile si stampa negli occhi degli studenti, i quali, completamente spiazzati, non sanno che fare, cosa dire, come reagire, non capiscono questa sovversione della regola da parte mia. Gli studenti stanno seduti al posto che è stato loro assegnato, ma sono tutti voltati con lo sguardo verso di me e questo li costringe ad una posizione innaturale e scomoda. Li ho invitati a sedersi per terra vicino a me. Si sono fiondati immediatamente. Non è caduto il mondo.
Da quella posizione ho cominciato ad aprire la porta della loro prigione e a far capire che cosa sia la vera libertà. Ho parlato della scuola tradizionale, delle sue regole ipocrite, della sua vocazione a forgiare sudditi obbedienti, del fatto che io non faccio come gli altri insegnanti, non lascio compiti per le vacanze, non considero nessuno inferiore o superiore, io stesso non sono superiore a loro e non devono considerarmi tale. Ho parlato soprattutto del concetto di libertà che si sposa con quello della responsabilità. Ho detto che nessuno dovrà mai chiedermi il permesso per andare in bagno o per fare altre cose, se queste cose però non provocano fastidio agli altri o non ledono il bene comune. Ho spiegato che il concetto di libertà è in realtà una pratica (quella che stavamo facendo, ad esempio) e che questa pratica non vuole dire disorganizzazione e caos, ma superorganizzazione e ordine, un altro tipo di ordine, un superordine, quello che io definisco ordine morale-naturale che poggia su altre regole (anch'esse morali-naturali) di reciproca collaborazione e di rispetto. Ho fornito loro alcuni esempi che sono stati compresi al volo.
Un bambino però non ce l'ha fatta a sganciarsi dalla sua prigione, dalla routine, dalla 'ginnastica d'obbedienza', e mi ha chiesto il permesso di andare in bagno. Naturalmente gli ho domandato subito per quale motivo mi avesse chiesto il permesso per questo suo bisogno-diritto naturale, e per quale motivo, poi, io avrei dovuto negarglielo; lui ha capito subito e, senza dirmi niente, è andato a fare pipì, autoresponsabilizzandosi nell'esercizio della libertà.
Letteralmente traumatizzati da così tanta libertà e da sì chiara verità (venuta a galla anche nella loro coscienza), questi ragazzi e queste ragazze non hanno fatto altro che assumere per tutto il tempo espressioni di enorme stupore per questa piacevolissima novità. Bocche aperte, sbigottimento, meraviglia, lampi di vita negli occhi... sembrava che avessero trovato un tesoro sepolto, e in un certo senso è così. Allora ho chiesto loro se li avessi colpiti in bene o in male: 'benissimo' hanno risposto, ancora increduli e straordinariamente sereni. Si è già creato un clima di rispetto reciproco e di forte complicità.
Questi atteggiamenti, queste espressioni di grandissimo stupore, ci dànno la misura esatta di come a 10 anni gli individui siano già abituati alla non-libertà, alle regole coercitive imposte da qualcun altro, da un capo. Questa classe, completamente ignorante in materia di libertà, ricalca già in maniera fedele i tratti della società. Adesso chiedetevi: se a 10 anni le persone sono già così allenate ad obbedire e così lontane dal concetto di libertà, quanto schiavo è il popolo nei confronti del sistema gerarchico e coercitivo dello Stato?

'Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza...' (F. De André, 'Nella mia ora di libertà')

L'evoluzione di Matteo e il suo esame di terza media

Matteo ha avuto un percorso didattico tradizionale molto accidentato, quando l'ho conosciuto aveva già ripetuto un anno. Lo studio delle materie tradizionali, spiegate in modo tradizionale, non lo appassionava per niente, anzi lo odiava (come dargli torto?). Matteo era quel che si dice comunemente 'un ragazzo problematico', irascibile e litigioso. Gli mancava forse una motivazione capace di appassionarlo a qualcosa?
E' successo che, a un certo punto, quando ho cominciato a collegare l'Arte all'ideale anarchico, spiegando i princìpi di giustizia sociale e di libertà che circolavano tra Ottocento e Novecento, svelando al contempo le menzogne del sistema, Matteo ha cominciato a essere attentissimo. Prendeva appunti, cosa mai vista prima. Aveva trovato la motivazione e aveva perciò cominciato a osservare tutte le cose dal punto di vista eminentemente anarchico, ponendo alla base di tutti i suoi ragionamenti i valori morali dell'anarchia, la pace, la fratellanza, l'uguaglianza, il bene collettivo, la giustizia (vera) e naturalmente la vera libertà. I miei colleghi erano contenti del suo cambiamento, ma non sapevano a che cosa fosse dovuto, si limitavano a dire: 'è molto più responsabile'.
Matteo era arrivato al punto di integrare le lezioni con i suoi interventi, trapuntando i discorsi con esempi coerenti, utilizzando anche la lavagna per disegnare.

L'esame.
Il primo giorno d'esame (Italiano scritto), Matteo scelse la traccia che più lo stimolava nella trattazione di argomenti legati ai problemi sociali. Scrisse parecchio sul problema dell'acqua in Africa, utilizzando questo tema per parlare dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, senza mai però scrivere la parola 'anarchia' e i suoi derivati (aveva capito che in quella sede sarebbe stato meglio non stimolare i pregiudizi). Quando i miei colleghi lessero il suo tema rimasero positivamente colpiti, direi stupefatti, non soltanto per l'argomento scelto, ma anche per come Matteo lo avesse svolto, con una maturità fuori dal comune, tracciando una linea logica perfetta che andava dalla denuncia del problema, alla sua vera causa, fino alla soluzione. Un discorso squisitamente di denuncia, lodato da tutti i miei colleghi (con tanto di applauso), ma se Matteo avesse scritto la parola 'anarchia' sono certo che i miei colleghi, per stupido pregiudizio, avrebbero storto il naso. Avviene sempre così: tutti lodano certi princìpi fintanto che non viene pronunciata la parola 'anarchia' o 'anarchico', ecc.
Ecco che il brutto anatroccolo, svogliato, punito e accusato da tutti, che odiava a morte i miei colleghi e le mie colleghe, è diventato un individuo cosciente, attento ai problemi sociali e in grado di capirne le vere cause, quindi di fornirne le soluzioni. La cosa buffa -e direi anche assurda- è che questa maturità, questa responsabilità, attiene certamente soltanto alla natura di Matteo e alla sua propria autodeterminazione, ma i miei colleghi credono che 'il miracolo' sia avvenuto per merito loro.

Primo settembre, docenti all'appello

Come ogni anno, il primo collegio dei docenti è una sorta di avviso, come dire: 'inutile sospirare, ormai ci siete e riabituatevi al più presto'. E' stato bello il periodo delle vacanze, chi è partito per nuovi lidi, chi è rimasto (vista la crisi), chi si è dedicato all'alpinismo, chi alla marina, chi all'agricoltura o alla botanica, ecc. C'è chi, come me, si è dedicato alla lettura e alla pittura in assoluto relax. Insomma, le vacanze sono l'unico periodo in cui l'essere umano gode e si rigenera. Cosa vuol dire questo? Semplicemente che l'Uomo ha una vitale necessità di se stesso, di curare i propri svaghi, di creare, di pensare al proprio bene e anche a quello degli altri. E' una necessità umana e naturale, è la vera vita.
Invece no, la scuola statale, così come le altre attività strutturate secondo un modello ripetitivo e competitivo-aziendale, diventa un obbligo da assolvere militarmente! E vale forse soprattutto per i ragazzi e le ragazze. Guardiamoli bene questi studenti in prossimità dell'inizio anno scolastico, guardiamo come i loro occhi si spengono a poco a poco, la maschera della disperazione riprende la triste forma abituale, quando invece durante le vacanze i loro occhi sorridevano e i loro abbracci erano davvero sinceri. Poveri ragazzi, costretti di nuovo allo smaronamento, all'autorità, alle ingiustizie, al dovere, all'abitudine, alla sudditanza permanente.
Per noi docenti è la stessa cosa, già il primo di settembre uno smaronamento indicibile con un dirigente scolastico che non fa in tempo neanche a sedersi che subito pone i suoi paletti e i suoi diktat: 'lei faccia come dico io, perché lo dico io, perchè qui comando io'. Una infausta e deleteria logica che dovranno subire anche gli studenti, da noi, per imparare ad essere buoni, devoti all'autorità, allo Stato, al governo di turno. Anche quest'anno mi rifiuterò di fare il carabiniere o il giudice! Anche quest'anno cercherò di insegnare la libertà, clandestinamente, per quanto mi sarà possibile.
L'essere umano non ha bisogno di questo tipo di scuola, non ha bisogno di questo tipo di società. Ascoltiamoci dentro, profondamente. Non vorremmo tutti -docenti e studenti- tornare alle nostre adorate vacanze? Qualcosa dovrà pur dire, no?

La devozione all'autorità insegnata nella scuola statale

Penso che in Italia non vi sia una scuola statale più statale di quella in cui lavoro. Oggi, addirittura, hanno preparato l'aula magna con tante sedie per far assistere i ragazzi alla cerimonia nuziale dei due rampolli inglesi, William e Kate. Non ci volevo credere. Mi sono arrabbiato, ma la mia condizione di 'clandestino' non mi ha permesso un'obiezione a scena aperta. Dopo però, in classe, ho dovuto spiegare qualcosa ai ragazzi:
la visione di quelle nozze cosa ha insegnato ai ragazzi?
Anzitutto la favoletta del principe azzurro da rincorrere, dei sovrani da servire, dei ricchi da adulare, della casta da imitare... la favoletta che, attraverso mille racconti, ha riempito i nostri sogni fin da quando eravamo in fasce (pessimo imprinting). Ha insegnato anche che la casta dei sovrani merita tutta l'attenzione, quando invece le nostre società hanno altre urgenze di popolo. Ha insegnato la sperequazione, la disuguagliansa, la sudditanza, la gerarchia. Ha insegnato che un principe vale molto più di un giorno di scuola (ma guai a perdere una sola ora di lezione, normalmente!). Ha insegnato ad essere devoti al bastone, come le pecore, peggio delle pecore (perchè le pecore non applaudono al bastone e non se lo scelgono neppure). Insomma, niente di più deleterio per un ragazzino, niente di più lontano da quell'uguaglianza tanto ipocritamente predicata a scuola. E' questa l'istruzione? A quando la proiezione in aula magna dell'ultimo reality show?

Il permesso non si chiede, si prende e basta


Nella scuola tradizionale, dove si insegna e si impara l'autorità e la disuguaglianza, alzare la mano per chiedere qualsiasi tipo di permesso è ritenuto un fatto lodevole, degno della migliore tradizione borghese e conservatrice. Invece, nella scuola libertaria, quella del chiedere il permesso è una delle azioni più distruttrici della libertà personale ed anche una delle più avvilenti per la dignità individuale. Siamo tutti uguali, giusto? Questo si predica ipocritamente nella scuola di Stato, ma il principio di uguaglianza non viene mai insegnato. Perciò questo esercizio di libertà e di uguaglianza applicata è uno dei primi che ho sperimentato in una classe prima (10 - 11 anni). Ho fatto un patto con i ragazzi:
non chiedete il permesso per andare in bagno, se sentite questa urgenza vi alzate, dite che andate in bagno, e uscite in autonomia, io non devo (e non posso) arrogarmi il diritto di decidere se farvi uscire oppure no. Però questo comporta una regola morale che voi dovreste seguire: se un alunno dice di andare in bagno e, per caso, un compagno lo scopre da tutt'altra parte, succede che tutto il gruppo classe perde la fiducia in quell'alunno, e questa è una umiliazione profonda che vorrei evitare ad ognuno di voi. Ricordate che libertà non vuol dire arbitrarietà, cioè fare quel che ci pare senza pensare al benessere di tutti. Libertà vuol dire responsabilità.
Se qualche mio collega della scuola pubblica sta leggendo questo post, segua anche le seguenti parole: tra me e questa classe si è creata una fiducia reciproca di ferro, nonché un rispetto enorme e fraterno. Questa classe si dimostra straordinariamente responsabile, quando tutti gli altri miei colleghi la denunciano come la classe più 'problematica' dell'Istituto. Detto tutto.

L'a-carta di identità

Questo esercizio ha messo in evidenza come lo Stato sappia tutto di noi, chi siamo, dove abitiamo, che occhi abbiamo e tutto il resto. Sembriamo polli con l'etichetta di rintracciabilità. Noi, per lo Stato, non siamo nessuno finchè non possediamo una carta di identità. Diciamo meglio, senza quel pezzo di carta noi siamo considerati clandestini, pericolosi come... cittadini liberi. Nel sistema-Stato non è possibile essere liberi, non è possibile essere semplicemente persone.
Perciò i ragazzi ed io abbiamo realizzato le nostre a-carte di identità che naturalmente sono ben diverse da quelle imposte dallo Stato.
Non vogliamo essere numeri, non lo siamo, noi siamo persone. Noi non vogliamo essere schedati. Il nostro documento, che può anche essere fatto a mano e personalizzato come si vuole, non è obbligatorio e non serve per le avvilenti operazioni di amministrazione e di riconoscimento coatto: è un divertissement, un optional che però fa riflettere. Mancano molte 'voci' rispetto alla carta istituzionale, ma c'è tutto quel che serve ad una persona libera. Ecco la mia (dovrei ancora colorarla).

frontespizio



interno



Irene vuole essere libera

Terza media. Irene, 13 anni, l'altro giorno mi fa: 'lei è un mito'. Le ho chiesto il perché e lei mi ha risposto: 'perché ci sta insegnando cose utili e importanti come l'anarchia'. Son soddisfazioni. Ma non è tutto, poi ha aggiunto: 'lei dovrebbe parlarci bene dell'anarchia' (intendeva dire più apertamente e più approfonditamente). Nel pomeriggio le ho fatto una domanda attraverso la posta di facebook, le ho chiesto cosa sapesse di anarchia. Ha risposto: 'per adesso mi basta sapere come, dove e quando nasce l'anarchia'. Non le ho risposto subito, ma l'indomani a scuola. Nel pomeriggio le ho inviato un file pdf.
Irene sarà una buona anarchica.

Svelando l'ipocrisia della scuola ordinaria e il suo obiettivo nascosto

Terza media. Nonostante con questi ragazzi ci si conosca da tre anni, soltanto da qualche mese ho iniziato a discutere con loro di libertà (vera). Però a pensarci bene non è proprio così, perché attraverso la mia persona, in qualche modo e in qualche misura durante questi anni, essi hanno assorbito una certa mia maniera di essere-nel-mondo improntata sulla fratellanza e sul rispetto reciproco. Perciò non ho registrato particolare difficoltà quando ho iniziato ad affrontare il pensiero anarchico (legato al 'programma istituzionale' che prevede anche l'Ottocento e il Novecento). Certamente la cautela, anche nel pronunciare soltanto la parola 'anarchia', è stata d'obbligo, considerati i pregiudizi circa questa parola (pregiudizi inculcati dallo Stato). Con misura certosina ho calcolato tempi e modi, in progressione, dolcemente. All'inizio c'era stata qualche reazione, qualche dissenso, ma oggi posso dire che la classe possiede anche l'altro punto di vista, l'altro 'menu', l'altra pietanza su cui poter operare una scelta.
Perciò oggi, dato che presto i ragazzi prenderanno il volo verso le scuole superiori (dove ho insegnato vari anni) ho voluto spiegare cos'hanno imparato in questi primi otto anni di scuola e cosa impareranno negli anni scolastici a venire. La lezione l'ho divisa in due parti distinte ma consequenziali.

Prima parte.
Ho iniziato a far prendere coscienza delle mille prigioni in cui i ragazzi e i docenti si trovano. I pargoli pensavano che l'azione di seguire diligentemente il regolamento scolastico fosse una cosa giusta, normale, elogiabile, ma quando ho illustrato il concetto di gerarchia, cioè che esiste un capo (docente), che possiede un'arma (note) e che pone gli studenti sul piano dell'ingiustizia e della sperequazione (voti), hanno capito immediatamente. Ed hanno capito bene anche il concetto di scansione del tempo (della loro vita) dovuto al suono della campanella che li forgerà in maniera tale da abituarsi ai tempi ordinati e comandati dai mille capi che avranno nella vita e che in quei tempi prestabiliti, dal gusto diventato orribilmente assoluto, devono fare quelle precise cose. Questo ritmo imposto da altri -ho detto loro- è già per voi qualcosa di orribilmente normale.
Ho continuato facendo gli esempi dello stare in fila (bravi e buoni), del chiedere il permesso al capo persino per andare in bagno. Ho detto: vedete cosa vi sta insegnando la scuola? Ad essere sudditi obbedienti, a considerare normale il fatto che non siete voi a decidere, ma altri al vostro posto. Avrete la vita regolata da imposizioni e leggi che vi stritoleranno in mille modi, ma voi state anche imparando che quelle leggi sono normali, giuste, mentre invece non lo sono, non rispondono alle vostre vere esigenze di libertà.
Ho dovuto anche fare un cenno circa l'ipocrisia della scuola che predica bene e razzola malissimo, quando ad esempio dice che 'siamo tutti fratelli', che 'siamo tutti uguali', mentre invece la scuola divide gli studenti, sia nella costrizione per classi, sia nell'introduzione del voto. Voi -ho detto- state imparando dalla scuola che esistono persone di serie A e di serie B, che qualcun altro è superiore o inferiore a voi, che qualcun altro merita più o meno di voi. E questo, se continuate così, vi sembrerà normale e persino giusto. Non avevo mai visto questi studenti così attenti e recettivi prima d'ora.

Seconda parte.
A quel punto è stato logico parlare di quelle altre scuole di cui, probabilmente, non verranno mai a conoscenza, le scuole libertarie. Ho spiegato che esistono scuole in grado di formare Persone e non sudditi, dove la campanella non esiste, le classi non esistono, i capi non esistono, non si deve chiedere permesso, ognuno è libero di scegliere cosa studiare, quando studiare e come studiare. Ho detto loro di fare una ricerca in rete -se l'avessero desiderato- su Summerhill. Ho spiegato il modo in cui questi studenti decidono in assemblea e liberamente anche i piani di lavoro, i gruppi, le attività, gli studi.

Sì, ma...
Ho spiegato forse la parte più importante, e cioè quella relativa alla responsabilità. Ho detto che i ragazzi e le ragazze che frequentano le scuole libertarie hanno una coscienza diversa da quelli delle scuole ordinarie, poiché sanno che la loro responsabilità, qualora dovesse venire meno o essere volutamente disattesa, influirebbe negativamente su tutta la scuola, su tutto il gruppo. Il gruppo stesso perderebbe la fiducia in quella singola persona. E questa perdita di fiducia fa male molto più di mille note. Le scuole libertarie conducono ad un'autocoscienza forte, dove ognuno è per il gruppo e viceversa. Ogni persona è importante allo stesso modo, ognuno dà a seconda delle proprie possibilità, c'è spirito di vera collaborazione e di vera fratellanza. Tutto questo a sottolineare il fatto che non è assolutamente vero che in anarchia non esistono regole, anzi. La domanda più ricorrente dei ragazzi è stata: ' dove si trovano queste scuole'?

POI SONO ANDATO IN UNA CLASSE PRIMA
E ho fatto lo stesso discorso, ma più stringato, e hanno capito benissimo tutto. Una ragazzina, alla fine, ha detto sospirando: 'che bello, ma non possiamo fare così anche noi'? Qui no -ho risposto- (nel frattempo ci eravamo trasferiti in cortile, seduti per terra), ma se volete nelle mie ore possiamo trovare un'armonia molto simile, ma soltanto se dimostrate di voler acquisire una coscienza fraterna e uno spirito di vera collaborazione. Mi hanno detto di sì.

Fonte foto: Summerhill (Hester painting)

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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