Si pensa che la verifica serva a misurare le conoscenze dei ragazzi. Questo è vero, ma solo in piccola parte, è una verità aleatoria, poiché quella conoscenza viene misurata nella breve distanza che passa tra il giorno della lezione e quello della verifica. Se la verifica venisse svolta a distanza di un mese dalla lezione, al 90% darebbe risultati deludenti. Perciò la scuola maschera i suoi limiti facendo studiare a casa i ragazzi il giorno prima della verifica. Inoltre la misurazione viene effettuata sulla base di una griglia di valutazione che è ignobilmente uguale per tutti, e questa omologazione non tiene minimamente conto delle singole individualità, delle differenze interpretative di ognuno, dello stile di apprendimento di ogni persona, e delle contingenze del momento. La legge è legge, si impara anche così. A problema dato, occorre fornire una data risposta, entro quel dato tempo, nel dato modo. La scuola come laboratorio di a-creatività? Certo.
Ma la verifica (o gli esami), secondo l'obiettivo nascosto del sistema, serve invece a un'altra cosa. Si vuole abituare il futuro suddito a subire continuamente giudizi, valutazioni, punizioni e premi, inquisizioni, da parte di tutte le autorità che egli incontrerà nella vita, e alle quali dovrà dimostrarsi devoto e rispettoso. E lo sarà. Gli studenti vengono allenati, giorno per giorno, per anni e anni, a considerare giusto il controllo dello Stato e i suoi processi giudiziari-inquisitori. L'ingrediente-base per tutta questa operazione di addestramento è la paura. Paura di sbagliare, paura del brutto voto, paura della punizione del genitore quando vedrà il brutto voto, paura di non riuscire ad essere all'altezza, di non reggere il confronto con i compagni. Competizione, paura, coercizione, autorità, disciplina, ordine. Cose militari, insomma. Da qui sorgono i 'piccoli crimini' che in futuro diventeranno normalità assoluta. Ad esempio l'atto di copiare di nascosto, che solo in apparenza rappresenta un voler prendere in giro l'autorità docente, o il sistema, in verità anche quello rappresenta un allenamento alla non-dignità personale, e soprattutto all'idea che si possa -e addirittura si debba- far le scarpe ai nostri simili. La scuola come palestra dell'inganno? Certo.
Non mi stupisco affatto quando i miei colleghi mi dicono di aver scoperto il ragazzo tale che si è fatto pagare per scrivere agli altri compagni un bigliettino di appunti da tenere furtivamente sotto il banco prima della verifica. La scuola come palestra della corruzione? Certo, anche quello. E dove volete che imparino i bimbi queste vigliaccherie? E' così che si diventa 'furbi', no? Gente che formerà la società di domani e che forse -speriamo di no- andrà a governare. Siamo tutti figli di questa scuola, ci piaccia o no, ma quelli che si salvano sono quelli che hanno coscienza del ruolo violento della scuola. Ribadisco che non serve a nulla predicare bene in classe, dire ad esempio ai ragazzi che 'questo non si fa, copiare non va bene', è davvero inutile se poi è proprio il sistema che costringe a farlo, ci allenano fin da bambini a far questo, non c'è predica moralista che tenga.
Ma allora cosa possiamo fare? Mi rivolgo ai docenti della scuola tradizionale. Dato che nella scuola bisogna per forza fare le verifiche, io cerco in tutti i modi di eliminare quell'ingrediente-base: la paura. Non lo faccio solo a parole. Quando i ragazzi, per vari motivi, non sanno una risposta o hanno un altro tipo di soluzione, normalmente si trovano in una condizione indotta di panico, pensano al voto e alla punizione. Il mio intervento a monte è invece quello di dire ai ragazzi che ogni errore è di per sé un valore, poiché dall'errore si impara. Quante volte l'abbiamo detto, vero? Ma poi? Poi normalmente, sulla testa dei ragazzi cade inesorabile la scure del voto negativo, e ritorna la paura. Io invece cosa faccio, oltre a dire che 'sbagliando s'impara'? Metto in pratica il processo cognitivo partendo dall'errore. Insieme ai ragazzi prendo gli errori, ne discutiamo, li confrontiamo, li analizziamo, in un clima sereno. Non faccio accenno ai voti, anche perché mi succede spesso, discutendo intorno a un errore, di trovare che quello che a me sembrava un errore non lo era affatto, ma era invece una impostazione logica diversa che il ragazzo o la ragazza aveva sintetizzato in una formula tutta sua. Altri punti di vista che esistono ed emergono. Non li uccido e non li punisco. Ma anche di fronte a un errore oggettivo, questo viene sempre considerato un gradino per avanzare piuttosto che un crimine da punire. Quindi noi prendiamo in analisi gli errori per poter andare avanti. Infatti si va avanti. Quando i ragazzi constatano che la predica trova un effettivo riscontro nella pratica, allora spariscono paure, bigliettini, corruzioni, e si progredisce collettivamente nella conoscenza. Per quanto riguarda le correzioni delle verifiche, in una scuola di Stato può andar bene l'autovalutazione. Qui alcuni esempi.