Una citazione al giorno

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Data Rivoluzionaria

La scuola è nuda!

La gente sotto sotto ha ancora un cuore, una coscienza ancora umana, integra, nonostante questa coscienza sia messa a dura prova da una condizione in cui le individualità  sono sparite, fagogitate dal conformismo, oltre che perseguitate laddove siano rimaste ostinatamente ancora sane e uniche. Cuore e coscienza: le loro esigenze hanno bisogno di essere soddisfatte in qualche modo, per questo motivo la classe dominante, che regge le redini del potere politico, ha saputo costruire con le parole tutto un immaginario di meraviglia, un fenomenale catalogo di articoli per la felicità. Ma quelle del potere sono solo parole, promesse, illusioni, idee, che i fatti smentiscono senza possibilità di appello. E non potrebbe essere altrimenti. Una politica di Stato che dovesse mettere in pratica le sue stesse parole si appresterebbe a compiere il proprio suicidio.
Con questo voglio dire che le folle conformate, adattate così bene al sistema che le imprigiona senza che esse se ne accorgano, si nutrono delle parole del potere, perché  il cuore e la coscienza le esigono come proprio cibo. Non importa se la politica di Stato non farà  mai quello che promette con le sue parole, quel che importa è coltivare presso la gente l'illusione che lo Stato, con le sue istituzioni e i suoi governi, sia l'unico mezzo con cui realizzare la felicità. Fino ad oggi il giochino illusionistico ha funzionato. Prodigi pavloviani.
Le folle istruite difendono le istituzioni: nell'immaginario collettivo le istituzioni rappresentano le appendici attraverso cui si può giungere all'Iperuranio, sono i necessari agganci per il raggiungimento della felicità, della perfezione e di ogni altra amenità che stuzzichi positivamente le coscienze. Questo viene fatto credere e questo viene creduto. Stiamo parlando ovviamente di mitologia, ma che serve al cuore e alla coscienza della gente. Disilludere la gente, svegliarla da questo incantesimo o stato di ipnosi dogmatica può risultare pericoloso. Pericoloso per chi grida pubblicamente che il re è nudo, ma anche per gli ipnotizzati che non hanno mai voluto credere che il re fosse nudo.Nel primo caso si rischia la denigrazione nella migliore delle ipotesi, nel secondo la servitù volontaria rischia di non poter più nascondere la propria complicità col sistema ponendosi dietro a falsi parapetti ideologici o di retorica, come fa d'abitudine.
Prendendo ad esempio l'istituzione scolastica, dalla cui azione indottrinatrice obbligatoria emerge una precisa e corrispettiva conformazione sociale (la nostra, indubbiamente orribile), possiamo notare il modo in cui le folle scolarizzate la difendano malgrado i fatti, nonostante i risultati che molti di noi, in passato, avevano preconizzato. Come dicevo, i fatti in questi casi contano poco, anzi nulla: al suddito fedele non importa sapere se il re è nudo, importa invece avere l'idea che il re sia sempre vestito. Basta solo l'idea. Questo fa la scuola: infonde e perpetua l'idea che essa sia necessaria e giusta, non importa se i fatti dicono tutto il contrario. E ancora, proprio come diceva Ivan Illich, più la scuola e le istituzioni in genere dimostrano di fare esattamente il contrario di ciò che promettono, e più le masse istruite pensano che per risolvere il problema sia necessario il rafforzamento di quelle stesse istituzioni.
Quello della scuola è un vestito fatto di una retorica formidabile, mistica, ma falsa, che il suddito scolarizzato sa declamare ogni qual volta la scuola viene messa in discussione da qualche eretico descolarizzatore. Il vero servo è quello che difende l'indifendibile. Voglio fare un esempio concreto: la società scolarizzata crede che la scuola serva, tra l'altro, a far socializzare i bambini, nonostante le evidenze dicano esattamente il contrario a volte con esiti persino drammatici come il bullismo (che è la punta emergente di un iceberg sottostante mastodontico fatto di violenza culturale e strutturale, fatto cioè di scuola in quanto tale). Come può una struttura istituzionalizzata come la scuola, nata per separare e costringere i corpi (suddivisione anche fisica per classi, e obbligo di rimanere seduti nei banchi, attenti, disciplinati, possibilmente divisi, escluso il quarto d'ora di intervallo, pena punizione), dal cui modello sono nate le moderne prigioni (vedi Foucault), come può, dicevo, la scuola  promuovere e addirittura agevolare la socializzazione delle persone? Si intende una socializzazione conviviale e pacifica, è ovvio. E' una contraddizione evidente e colossale!
Eppure lo scolarizzato medio lo crede possibile, perché l'idea della socializzazione è bella in sé, ci appartiene atavicamente in quanto siamo animali sociali, e proprio sui caratteri atavici lavora il potere, che fino ad oggi si è premurato di toglierci il primato dell'autorganizzazione e dell'autoaffermazione per costruire specializzati e specializzazioni, cioè agenzie esterne alle quali la gente non può far altro che delegare tutto, con le buone o con le cattive (obbligo scolastico, obbligo di medicalizzazione, obbligo di burocratizzazione delle vite, obbligo di certificazione di ogni cosa...). E infatti nell'immaginario collettivo tutte le istituzioni, primariamente la scuola, sono ormai diventate le superagenzie indiscusse che, a loro dire, condurrebbero al giusto, al buono, al bello, alla sapienza. Le istituzioni sono le nuove chiese. E la scuola è una chiesa talmente potente che il fedele scolarizzato, essendo tale, tende ad opporsi a qualsiasi evidenza che gli dimostri concretamente che, giusto per agganciarmi all'esempio di prima, dei bambini che giocano liberi e chiassosi non hanno alcun bisogno di istituzioni (e istruzioni) sedicenti socializzanti, perché i bambini liberi sono essi stessi, in quanto tali, individui naturalmente sociali, ma già anche liberi. Serve altro? No. Ma un devoto della scuola continuerà a difendere l'istituzione nonostante tutto, a meno che l'adepto non sia in grado di fare un lavoro su di sé, autonomo, intimo, di decostruzione critica, che lo liberi finalmente dalle sovrastrutture culturali menzognere. Dopodiché possiamo anche pensare di iniziare a camminare tutti insieme nel segno della pace e della libertà. Nel segno, e non verso. Pace e libertà non hanno bisogno di un cammino iniziatico, come dicevo nel post precedente, perché sono il cammino.
Vorrei ripetermi anche qui. Poiché le persone sono intimamente guidate dalle esigenze naturali del cuore e della coscienza, esse amano in maniera viscerale l'idea del bello, del buono, del giusto, della sapienza, della fratellanza..; la gente è profondamente innamorata di chi le promette queste cose, quindi è innamorata dell'idea che la scuola dà di se stessa alle folle da ben 26 secoli, è innamorata di un'immagine retorica, di maniera, olografica e millenaria, perciò la difende fideisticamente. Ma come si fa a difendere per così tanto tempo un qualcosa che produce l'esatto opposto di ciò che promette? Come dicevo, soltanto una cieca fede, ovvero l'obnubilazione del raziocinio, riesce a ottenere questo risultato.
Ecco il motivo per cui il potere necessita di autoriformarsi continuamente. Le riforme della scuola servono anche a questo, a rivitalizzare l'illusione iniziale, a riportare in alto il livello di speranza del suddito, a rifidelizzare la società alla scuola, a irrobustirne la sua retorica e la liturgia, a riproiettare nelle coscienze l'ologramma iperuranico. E' come se il re di prima, accorgendosi del mugugno della gente che nel frattempo si è accorta della sua nudità e quindi comincia a dubitare, dicesse al popolo: 'sudditi amati, è giunto il momento che io indossi altri vestiti, da domani questi miei vestiti avranno un'altra foggia, e sarà più bella'. Applausi al re, dubbio sparito, l'illusione ha rifatto centro. Ma la questione, in realtà, non è mai stata quella di cambiare o meno i vestiti, o farsi illudere ancora dalle belle parole del potere, qui si tratta di non volere più il potere in quanto tale, si tratta di demolire il dogma culturale imperante e far implodere la macchina scolastica istituzionale che lo crea.

'Lungi dal realizzare l'eguaglianza delle opportunità  che promette, la scuola infatti riproduce e consolida la stratificazione sociale e funge da moderno cerimoniale di iniziazione alla società  dei consumi. Essa appare come un grande rituale mitopoietico, generatore di miti che rendono tollerabile la sua controproduttività  paradossale, ovvero la paralisi dell'apprendimento che il monopolio scolastico produce inevitabilmente' (Antonio Airoldi, nota bibliografica pubblicata in 'Disoccupazione creativa' di Ivan Illich, Red edizioni, 1996)
 'La ricostruzione della società  ha inizio quando i cittadini cominciano a dubitare' (Ivan Illich).

Non esistono percorsi iniziatici per la libertà

Di chiese, in questo tipo di società, ce ne sono moltissime, la scuola è una di queste, ed è anche la più subdola e potente tra tutte. Su questo argomento ha scritto molto bene Ivan Illich, che io considero un autore imprescindibile, a mio giudizio l'unico che ha saputo far emergere e colpire al cuore i veri pilastri su cui si fonda la menzogna sociale in cui ormai quasi tutti credono. Per fede. Perché è solo un fatto di fede, non di logica e buon senso, se oggi intere masse si lasciano abbindolare dall'unico punto di vista sul mondo voluto e imposto dal sistema e la sua pedagogia. 
Laddove esiste una chiesa deve necessariamente esserci un sacerdote, un meneur de jeu, un padrone, una figura che ogni bravo schiavo fedele pone su un podio e chiama 'mia guida' (fuhrer), pur soffrendola, sia essa un singolo individuo o un'élite parlamentare. Sarebbe interessante soffermarsi in modo più analitico e approfondito su questa 'guida', fino a scoprire che una tale figura nasce soltanto nei luoghi in cui la libertà e la gioia sono state tolte in precedenza agli individui, rendendo i popoli, così derubati delle prerogative naturali più preziose, masse dipendenti dalle illusioni. Ma qui non voglio approfondire il tema che così impeccabilmente Ivan Illich ha già sviscerato nei suoi testi. 
Voglio semmai promuovere un dubbio, quello che io pongo sull'idea del percorso iniziatico comune a tutti i tipi di chiese. Io diffido dei percorsi di salvazione proposti da chi, dall'esterno, si erge a fuhrer di qualche cosa. Tutte le chiese, ovviamente anche quelle di tipo parlamentare, non fanno altro che chiamare a raccolta milioni di fedeli illudendoli col miraggio della felicità (o sicurezza, o pace, o libertà...), ma che può essere raggiungibile, dicono, soltanto se i fedeli seguono un percorso iniziatico prestabilito, deciso dalla guida (singolo o gruppo che sia) ma senza dare dispiaceri alla guida, sia chiaro, altrimenti quei fedeli saranno etichettati e diventeranno infedeli, dunque sovversivi, con le conseguenze punitive che il fuhrer avrà nel frattempo deciso.
Senonché, come è logico e come ci raccontano i fatti, questi percorsi si rivelano sempre delle incredibili trappole, delle vie della povertà e della sofferenza, e le persone adepte, rese nel frattempo fedeli e acquiescenti per mezzo di un'educazione mirata e obbligatoria, credono che la propria sofferenza sia il giusto prezzo da pagare. D'altra parte, non è forse la stessa religione istituzionalizzata la prima che insegna ai bambini l'odiosa e malsana idea che il soffrire in questa vita conduca alla gioia nella morte (ma a condizione che)? 
Io diffido di questi percorsi, fisici o metafisici, non credo in chi li propone, non credo nei ricatti, nei 'a condizione che', nelle vigliaccherie dei profittatori senza scrupoli spacciate per cammini di liberazione. E non credo anche perché io conosco la natura degli esseri umani, i quali, per disegno naturale eminentissimo, nascono tutti liberi e autodeterminati. Tanto basta. La sofferenza e la schiavitù di cui siamo vittime è invece un progetto culturale, politico, economico, educativo preciso, è una costruzione, un artificio che va contro natura per l'interesse esclusivo di un'élite.
Come diceva De La Boétie nel secondo Cinquecento, è sufficiente non servire più per avere la libertà. Io credo in questo. Credo nella disobbedienza. Credo nella mia autodeterminazione e nella mia morale, nella mia capacità di pensiero e di azione, nella mia innata capacità di giudicare ciò che è bene e ciò che è male. E giudico male chi vuole educarmi, giudico male chi vuole farmi suo schiavo illudendomi con percorsi salvifici. Io giudico bene quella libertà che è in se stessa il percorso, non viceversa: credo che non esistano cammini per la gioia, ma esiste solo la gioia come cammino. La libertà va praticata, qui e ora, non elemosinata, non la si raggiunge per mezzo di percorsi dettati da qualcun altro e 'a condizione che'. Chi segue percorsi stabiliti da qualcun altro, dall'esterno, non soltanto si rende schiavo e rinuncia alla propria autostima e autodeterminazione, ma toglierà tempo prezioso alla propria gioia, quella gioia che avrebbe immediatamente se non ubbidisse al suo fuhrer, o sacerdote, o capo di partito, ecc.
Così non credo che l'iniziazione ecclesiastico-scolastica, come pure qualsiasi legge esterna e imposta, renda gli esseri umani migliori, credo invece che la scuola ci renda progressivamente sempre più asserviti e incattiviti, deboli con i forti e forti con i deboli, vigliacchi, corrotti e corruttori, riproduttori fedelissimi di questo tipo di società competitiva e autoritaria, e difensori accaniti della morale imposta e dei padroni. I fatti sono terribilmente espliciti in questo senso.
Dacché ho ricordo, vibra in me, tra gli altri, un grande istinto naturale che dice: se vuoi la libertà, usala! Non c'è altro da fare, perché la libertà si impara soltanto praticandola, come la gioia, la giustizia, la pace, la fratellanza e la solidarietà: guarda caso le prerogative naturali che ci hanno tolte e che possiamo riavere, qui e ora, seguendo noi stessi, e non servendo più chi ci promette percorsi di varia salvazione, terrena e non.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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